Un'interessante pubblicazione sulla questione delle attività estrattive in Puglia scaturita dagli Atti del workshop promosso dal CIRP:Know-how e innovazione tecnologica nel settore lapideo pugliese:università, centri di formazionee imprese a confronto svoltosi a Bari nel gennaio 2002.
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(dalla introduzione di Calogero Montalbano)

Le cave e la questione del recupero

Il recupero ambientale delle aree degradate:
questione non solo normativa

Il tema della tutela ambientale nei territori in cui viene estratta la pietra e, piú in generale, il tema del recupero di vaste aree degradate, acquistano per le Regioni, in quanto amministrazioni
delegate alla redazione di Piani di Recupero Territoriale, una rilevanza indiscutibile, soprattutto in un contesto territoriale come quello Pugliese in cui, la questione del degrado legato alle attività estrattive - in continua espansione e trasformazione - e la necessità di un recupero consono alle esigenze umane e ambientali, divengono sempre piú urgenti. 
In particolare, il recupero delle cave di vasti comprensori Regionali, non può piú essere pensato secondo schemi avulsi dal contesto specifico in cui si propone, ne tantomeno risolversi con un semplice mascheramento di vaste pareti di scavo. Un tema di questa natura non può essere affrontato né tanto meno risolto facendo affidamento unicamente a normative e prescrizioni di piano - avvolte peraltro incapaci di gestire una programmazione su tempi e su ambiti territoriali cosí vasti - che non hanno i mezzi per produrre una nuova visione dello spazio urbano e delle sue attività produttive all’interno di una cornice di possibili qualità ambientali per il paesaggio del domani.
Ciò che si richiede pertanto, è la definizione di un diverso orizzonte culturale che consenta la reimmissione delle cave dismesse nel circuito degli usi collettivi e la possibilità offerta da tali luoghi di reinventare il paesaggio antropico e la sua relazione col paesaggio naturale. Occorre una riappropriazione culturale del territorio, che sia in grado di proporre un moderno valore estetico basato su di un nuovo rapporto intercorrente tra aree urbane ed extra urbane, tra aree degradate e ambiente, tra paesaggio naturale e paesaggio antropico.
È evidente come, in un simile contesto, il recupero ambientale delle aree estrattive, rientrando in una logica piú generale che investe il paesaggio degradato, non possa ridursi alla semplice cancellazione delle tracce dell’attività umana sul territorio - sebbene quest’ultima debba essere opportunamente reidirizzata in funzione della massima compatibilità con l’ambiente e con le sue risorse. 

Gli obiettivi primari da conseguire con una corretta politica di recupero sono dunque:
La sicurezza sul fronte idrogeologico e geomorfologico. Un processo di rinaturalizzazione, dove previsto, che sia in grado di integrarsi con i luoghi e con le forme del paesaggio antropico, in maniera intelligente, senza cedere a facili quanto irrealizzabili pretese di ricondurre tutti i paesaggi di cava ad una condizione di anacronistica naturalità.
La restituzione alla comunità delle aree dismesse per una pluralità di usi collettivi, cogliendo l’occasione per una riorganizzazione ed un decentramento dei poli urbani e per un riequilibrio del carico antropico sul territorio.1
Tutto questo impone indubbiamente uno sforzo programmatico notevole da parte di amministrazioni locali e regionali che
dovranno, già a partire dalla fase di previsione di piano, porsi il problema della destinazione finale del sito di cava a coltivazione ultimata.
In realtà occorre qualcosa di piú, che i comuni, e prima di loro le regioni, si forniscano di un piano2 che guidi l’assetto funzionale
del territorio.
In tal modo, sarà possibile conoscere in anticipo, persino rispetto all’inizio delle stesse attività estrattive, le reali necessità del territorio, le funzioni che ciascun ambito territoriale deve rivestire, la forma e la spazialità delle masse di scavo, nell’ambito di una corretta logica di integrazione tra paesaggio antropico e paesaggio naturale.