articolo di Edoardo Salzano

Il vento è una risorsa, può fornire energia, può ridurre la dipendenza da fonti esauribili o rischiose. Può essere una efficace integrazione di altre fonti pulite, come il sole e la degradazione biologica dei prodotti vegetali. Purché sia adoperata con saggezza, in una logica di pianificazione:
In una logica di valutazione attenta dei vantaggi e svantaggi, dei costi e dei benefici, degli effetti cumulativi derivanti dall’installazione degli impianti, dei rapporti tra le torri eoliche (e le potenti infrastrutture che ne sono la premessa) e le altre presenze sul territorio.

Alcune regioni, come la Sardegna, hanno deciso che – poichè gli impianti eolici provocano comunque trasformazioni irreversibili a paesaggi che sono considerati preziosi – essi devono subordinati a una duplice condizione: commisurati alle sole necessità del consumo interno della regione, localizzati solo là dove la pianificazione paesaggistica lo consente.

Atteggiamento diverso ha assunto la Puglia. Dopo una fase di moratoria ha emanato un regolamento che attribuisce ai comuni (la cellula più debole dell’ordinamento repubblicano, e la più esposta alla potenza delle “industrie del vento”) la facoltà di proporre gli impianti eolici e la loro localizzazione, attraverso al redazione di Piani regolatori degli impianti eolici. Già quasi un migliaio e mezzo di torri eoliche costellano il paesaggio pugliese. Nei comuni ferve la redazione di Prie, che lascia prevedere ben più che un loro raddoppio.

Alla moltiplicazione dell torri eoliche sono favorevoli le amministrazioni comunali, che vedono nelle royalties per la vendita dell’energia una inaspettata risorsa per rimpinguare le esauste finanze. Sono favorevoli i contadini, cui l’affitto dei terreni per la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture conviene più della coltivazione dei pomodori o delle vigne.

Un ostacolo grave per la pianificazione paesaggistica, che interverrà quando il paesaggio sarà trasformato. Un danno per la produzione agricola, in aree cui millenari investimenti della cultura, del lavoro e della natura hanno conferito produttività elevatissime. Un danno per il territorio il cui consumo non sarà provocato solo dalla rincorsa di un’urbanizzazione ormai motivata solo dalla convenienza finanziaria, ma anche dall’incapacità della Regione di assumere un ruolo di effettiva direzione delle trasformazioni dei territori e del paesaggio.