Il Parco nazionale dell'Alta Murgia è stato istituito già da due anni. Sembra quindi legittimo domandare “che aria tira” e se e come riuscirà a spegnere le due candeline del suo secondo compleanno.
Lo diciamo subito, per evitare equivoci:
l’aria che tira non è delle migliori.
E come potrebbe essere diversamente quando, al di là delle intenzioni proclamate, si registra una assoluta continuità  con un passato che non passa, ovvero con tutte quelle modalità di gestione del territorio che, appunto, si è voluto modificare con l’istituzione del parco?...

Abbiamo per anni sostenuto che le ragioni per l’istituzione del parco nazionale dell’Alta Murgia, andavano individuate nelle stesse dinamiche che hanno investito il territorio, almeno dalla fine degli anni Sessanta. Tali dinamiche hanno messo in crisi, con estrema velocità, il delicato equilibrio dei suoi eco-sistemi storici e naturali. Dopo le basi missilistiche, i poligoni militari, i depositi di scorie nucleari, la costruzione inutile dei cosiddetti “invasi artificiali” e dei tanti capannoni e villette private sorti come funghi un po’ ovunque, l’apertura di sempre nuove cave, discariche abusive di ogni tipo (il caso della “Murgia avvelenata” ne rappresenta solo l’aspetto più clamoroso)…e così via. Se a questi fenomeni si aggiunge la pratica monoculturale, con il conseguente impoverimento della diversità genetica  e di sapienze ambientali, sanciti nei prodotti locali genuini e di grande qualità, il quadro si allarga. Per finire, l’attività di spietramento, sopraggiunta come una clava, a polverizzare l’unicità di un patrimonio  millenario.
L’Alta Murgia, da questa prospettiva, era destinata a snaturarsi completamente per divenire, nei fatti, un’area di risulta in cui poter allocare ogni cosa, secondo le opportune “convenienze” economiche.
Insomma, l’idea di “parco” è maturata lentamente, nel rapporto tra queste tendenze, con le conseguenti trasformazioni, e l'identificazione di un nuovo centro di gravità intorno al quale far ruotare idee e progetti in grado di fornire risposte durevoli e concrete ai problemi di quest'area interna del Meridione.
Dopo un percorso lungo, difficile e non privo di tensioni, l’Alta Murgia è diventata, già da due anni, Parco nazionale.

Sembra quindi legittimo domandare “che aria tira” e se e come riuscirà a spegnere quelle due candeline.
Lo diciamo subito, per evitare equivoci: l’aria che tira non è delle migliori.  E come potrebbe essere diversamente quando, al di là delle intenzioni proclamate, si registra una assoluta continuità  con un passato che non passa, ovvero con tutte quelle modalità di gestione del territorio che, appunto, si è voluto modificare con l’istituzione del parco?
Si attendevano risposte immediate e concrete, soprattutto per coinvolgere attivamente i tanti operatori agricoli che hanno mostrato un duro scetticismo, per non dire di quelli che, tra loro, hanno manifestato tutta la loro opposizione al parco. L’ex ministro Tremonti ha intanto dirottato verso il nord i fondi ordinari destinati al parco dell’Alta Murgia, a partire dall’approvavazione della legge 426 del 1998 (circa 800,000 euro annue).

Gl’enti locali
, indaffarati come sono, sono rimasti a guardare o, peggio, ad agire come se il parco non esistesse e non dovesse esistere.
Si erano quasi tutti lamentati che il parco stesse nascendo dall’alto e continuano ad attenderlo e a permettere ogni scempio: non solo l’abusivismo dilaga senza ostacoli ma si arriva a barattare terreni agricoli e pascoli (non dovrebbero essere già “vincolati” con il parco?) con aree edificabili nelle zone urbane, mediante la pratica dell’ “asservimento”, ad aprire discariche in una delle zone archeologiche più importanti come le “Grottellini”, a tenere chiusa la “valle dei dinosauri” … Insomma, tranne qualche rara eccezione, si agisce come sempre. Un sindaco, addirittura, ha patrocinato una manifestazione indetta da una “associazione dei produttori dell’Alta Murgia”,  durante la quale sono stati premiati con “spighe d’oro”  i coltivatori inquisiti per truffa e danno dalla Procura di Trani, in merito all’attività di spietramento. Non abbiamo certo condiviso né gioito l’inutile arresto, allo stesso modo però denunciamo l’ipocrisia e l’opportunismo di una assurda premiazione avvenuta il giorno prima delle elezioni politiche.

Gli operatori economici e le imprese che operano sul territorio, sono un popolo frastagliato, che si regge grazie ad una discreta capacità, ma anche ad una manodopera (compresa quella immigrata) disposta a grandi sacrifici e con pochi diritti. Nella stragrande maggioranza dei casi, questo popolo vede nella politica un “bastone tra le ruote” oppure un alleato da plasmare secondo le opportune convenienze economiche. Quasi tutti sono d’accordo nell’ utilizzare il territorio secondo logiche di erosione dettate dall’ardire che ognuno si consente. Non abituati ad elaborare alcun vero progetto collettivo, e disconoscendo i limiti di una politica indifferente se non collusa, hanno finito per difendere a denti stretti  una linea di “sviluppo” scarna, eteronoma e non sostenibile.
Le novità bussano già alla porta: si chiamano “eolico” e “biomasse”. Oltre il grande progetto in itinere a Minervino, un nucleo di professionisti locali è stato sguinzagliato dai relativi azionisti per convincere i possessori dei terreni a convenzionarsi con loro promettendo lauti guadagni. Così in quasi tutti i comuni soffia già il vento di futuri parchi eolici, un po’ qui un po’ là. Non importa se non esiste alcun vero studio sul rapporto tra costi e benefici collettivi o sull’impatto paesaggistico o, ancora, sulla necessità di tutelare le aree delimitate dai S.I.C. e Z.P.S. (vedi le nostre Osservazioni sugli impianti di Minervino ). Senza aspettare le linee che il Piano energetico regionale dovrà assumere, si forma intanto la squadra o, come si dice, i cartelli. Poi si vedrà, e, intanto, già ci si schernisce dai “soliti ambientalisti e rompicoglioni” che sono sempre contro,  si tratti di nucleare o di produrre energia pulita (scarica i documenti per approfondire ).
Queste operazioni sono gestite con la stessa logica di quelle che hanno permesso la costruzione dei “laghetti artificiali”  o di altre iniziative come lo spietramento: si voleva l’acqua e non importa, come si è purtroppo dimostrato nei fatti, che nonostante gli alti costi sostenuti l’acqua non c’è e né sarebbe arrivata con quel progetto assurdo, per limitarci alla sola considerazione tecnica; altrettanto dicasi per lo spietramento o per i capannoni costruiti grazie alla legge regionale n. 34. E se sulla murgia non ci fosse vento sufficiente? E se, invece che assecondare le logiche del mero profitto e della rendita parassitaria, si provasse a ragionare in termini complessivi e quindi ad elaborare un progetto sperimentale in grado di recepire bisogni e conveniente ambientali e collettive?
Il parco potrebbe, in questo modo, costituire un vero laboratorio in cui sperimentare nuove forme di produzione e servizi. Per fare questo occorre che tutte le proposte siano attentamente vagliate in sintonia con un piano complessivo in cui siano chiare le regole da rispettare, gli obiettivi da raggiungere, un piano insomma che stabilisca quello che si può e che non si può fare. Il principio di precauzione è frutto di una grande battaglia ambientalista. Prevede che, nel caso di un esito incerto, si esiti o, più coraggiosamente, si rinunci.

L’Ente parco, istituito un anno fa e domiciliato “provvisoriamente” nella città di Gravina, ci appare già come un fantasma che attende chissà cosa per dire almeno che esiste. Qualche incarico dato a tizio e a caio come premio per essersi battuti per anni contro il parco, poi niente di niente. Ma a questa critica, ci risponderanno sicuramente che “stanno lavorando” e in condizioni ancora precarie. Non ci resta  allora che attendere e sperare,

L’Amministrazione provinciale ha fatto, appena insediatosi, un gita fuori porta nel parco con i giornalisti al seguito, poi è sparita, regalandoci la settima proroga e rinviando ancora una volta la decisione attesa sul caso del sito di stoccaggio più grande d’Europa, costruito dalla Tersan-Prometeo in via Bari. Tra altre delusioni, vi è quella relativa ad un progetto di censimento delle masserie storiche dell’Alta Murgia, che giace ancora inspiegabilmente nei suoi cassetti, pronto dal 1995 con i relativi fondi del Ministero dell’Ambiente.

La Regione, verso cui nutriamo ancora un certo rispetto che ci predispone alla misurata pazienza e all’attesa, sembra a volte correre il rischio di mostrarsi come un Sileno, una immagine sdoppiata tesa a rappresentare una doppia identità, con una parte che emerge nella figura del suo Presidente e un’altra che stenta a  modificare comportamenti e scelte politiche che, in passato, hanno provocato molti danni. Al di là di atti importanti che abbiamo condiviso e delle iniziative che lievitano, la “murgia avvelenata” è ancora avvelenata, e la recente determina con cui si dà via libera alla prima costruzione di impianti eolici a Minervino, prima ancora della messa appunto e ratifica del Piano Energetico, conferma una prassi ambigua che abbiamo, fino ad oggi, respinta e combattuta.

Lungi dal voler essere esaustivi nel descrivere le attuali condizioni in cui versa il “parco nazionale dell’Alta Murgia”, questo schizzo di parole è rivolto a favorire la riflessione e il necessario confronto sui problemi di quest’area, per continuare a fare tutto quello che si può fare, per ridurre i danni e cercare di fare un passo in avanti per realizzare progetti compatibili.

Torre di Nebbia